• Un reportage su come la pandemia ha cambiato il panorama gastronomico nella città di Barcellona

  • Come alcuni chef affrontano la situazione in un modo creativo, forgiano nuove opportunità e cercano nuovi percorsi.

    Per Idania Serrano/ Lovelyeating

    Le cifre non sussistono unicamente nelle notizie negli schermi dei nostri computer o televisioni. Adesso, che siamo per finire il 2020, il panorama geografico della gastronomia di Barcellona si è trasformato in profondità. Quest’anno hanno chiuso le sue porte locali mitici como la apprezzata Cuina de l’Uribou e il per alcuni nominato tempio del vino: Monvínic, un posto con cui condivido una relazione emozionale speciale.

    Mi sembra un sogno il pensare che, esattamente un anno fa, mi svegliavo alle 5:00 am per lavorare nel team produzione delle cucine dei ristoranti Dos Palillos e Dos Pebrots. Le cose andavano abbastanza bene, tanto cosí che si era creato questo team di mattina per realizzare le faccende piú meccaniche o lunghe ma sempre essenziali del meraviglioso lavoro in cucina. Normalmente eravamo in quattro, e fra i nostri compiti abituali cucinavamo il pane, il mochi, quasi polverizzavamo tra 150 e 300 grammi d’aglio al coltello e selezionavamo una quantità impossibile di germogli da 15 piante aromatiche diverse. La giornata lavorativa finiva verso le 17:00 se eravamo fortunati o nel peggiore dei casi fino le 19:00.

La cucina di Dos Palillos in servizio, Novembre 2019

Un poco di prospettiva

Come sono cambiate le cose! Oggi non esiste piú il team produzione. E le cucine di entrambi ristoranti, prima affollati di cuochi azzuffandosi per lo spazio su i ripiani, adesso vengono usati da pochi. Questi piccoli team lavorano in qualcosa che 365 giorni fa era inimmaginabile in un ristorante gastronomico, e molto di piú in uno stellato.

Nell’ultimo censimento realizzato dal Comune di Barcellona, in 2017, esistevano 2 267 ristoranti, senza contare i bar e caffetterie. Ancora le statistiche non sono aggiornate, però possiamo avanzare un panorama piú o meno desolatore. Alcune fonti suggeriscono che, per la fine della pandemia, avranno chiuso tra un 40% o anche un 50% dei locali. In una intervista per il canale di notizie TRECE, Emilio Gallego, segretario generale della Confederazione Impresariale di Ospitalità di Spagna prevede la possibilità che chiudano 100.000 locali in tutta la Spagna, il che potrebbe significare la perdita di piú o meno 400.000 posti di lavoro. In luglio, in una notizia per il giornale Expansión, José Luis Yzuel, presidente di Ospitalità della Spagna, calcola perdite di piú o meno 67.000 migliaia di Euro per la chiusura di 65.000 locali.

Però, (sempre c’è un però) in questo contesto di crisi inimmaginabile, ne sono sicura che ci sarà qualcosa di positivo, perlomeno un apprendimento che ci aiuti a migliorare una volta tutto questo sarà finito.

Come esempio di che la necessità è la regina della creatività e nella creatività c’è l’innovazione, ho intervistato a due Chef con i quali ho avuto la possibilità di collaborare e lavorare in precedenza; Pablo Muñoz e Domenico Maglione. Grazie ai social media ho potuto osservare come entrambi cominciavano progetti diversi a coloro che facevano prima della pandemia. Cosí ho avuto curiosità di sapere come stanno affrontando le difficoltà.

Preludio

Pablo Muñoz, chi é uno dei Chef piú versatili che io conosca, già che non solo ha lavorato in diversi ristoranti tra la Spagna e l’Argentina. Ha anche un background in sociologia simile a quello mio, e negli ultimi anni lavorava come consulente in ristorazione. Lui pensa che c’era già una crisi nella ristorazione barcellonese prima della pandemia. “Dagli attentati nella Rambla in 2017 ci fu una discesa económica che già in quel momento squilibrato il nostro mondo lavorativo. E mi sono accorto che essere un cuoco o uno chef non bastava per competere sul mercato. Siccome l’economia era bassa, gli uomini d’affari hanno cominciato a cercare manodopera a basso costo e senza istruzione. Tutti i cuochi siamo stati molto danneggiati per quella situazione, non volevano piú pagare i salari e stipendi meritati”

 

Su questo grafico, estratto da l’Informe annuale che realizza il Comune di Barcellona sull’attività del settore ristorazione nella città, si puó apprezzare una decrescita nell’evoluzione di negozio dal 2017 al 2018. La quale negli anni previ era stata stabile.
È palpabile l’impatto economico che l’attentato terrorista ha avuto nella città, particolarmente nella zona centro. Questo, effetto pensavo sarebbe durato meno d’un anno. Però la conversazione con Pablo mi ha aperto gli occhi a una intuizione ancora non processata; essere cuoco o chef professionale aveva perso il suo Glamour nella capitale Catalana.

Il lavoro d’un cuoco non consiste solo in preparare cibo buono e bello. Un cuoco professionale deve dominare le arti dello scandaglio, fare malabari per non avere sprechi, offrire un menu ed offerta gastronómica coerenti, ecc. Secondo Pablo “Cosí ha cominciato un calo nella qualità gastronómica nella città. Bravi cuochi, soprattutto quelli nativi, se ne sono andati a vivere all’estero, in paesi come l’Inghilterra dove il lavoro si paga bene.”

Però lui, invece di trasferirsi, vidi un’opportunità, un oceano blu in terminologia d’affari. Ha capito che quella mancanza di istruzione inerente ad uno staff poco costoso e poco qualificato, li dava l’opportunità di reinventare se stesso. E grazie a questo, e la lunga esperienza in cucina ha cominciato a lavorare come consulente gastronomico. Cosí spiega la sua esperienza “Prima, ho cominciato insegnando, da come cucinare caldi e salse basi, poi sui protocolli, elaborare schede tecniche, economizzare nei menu, la spesa e tutto il necessario per avere un ristorante economicamente sano. All’inizio mi é andata benissimo, perchè il mercato ne aveva molto bisogno di questi servizi.”

Lo Chef Pablo Muñoz godendo uno dei suoi piatti

Delivery

Delivery

Un poco d’umiltà va sempre bene

A metà aprile ho trovato un giornale messicano, La Jornada con data il 31 Gennaio 2020 il cui titolare diceva qualcosa di simile a: ”L’OMS avverte del pericolo di espansione del nuovo Coronavirus 19”. Dopo il mio primo disorientamento mi sono accorta che questa notizia mi era talmente sfuggita che il 10 febbraio ero in viaggio in Italia. Sembrerebbe questa ingenuità mia fu condivisa con il resto del mondo, apparte i scienziati dell’OMS. Cosí la pandemia è arrivata in Spagna a metà marzo, e sembrerebbe che senza preavviso.

La chiusura di bar e ristoranti lungo lo Stato d’allerta, ha dato una prima pausa che ha permesso creare reti online. Pablo ci raccontò come furono questi primi mesi. “All’inizio la pandemia ci ha regalato tempo per cominciare a pensare -Cosa faremo?. Molte persone del settore cominciarono a fare incontri online, di modo che si è creata una comunità.  Che se non fosse per le particolari circostanze sarebbe stato impossibile, già che i cuochi passiamo 10, 12 o anche di piú ore in cucina. 

Il tema piú importante fu ovviamente quello del Delivery, e si parlava sempre con una certa resistenza. Il delivery aveva una connotazione volgare. Tanti uomini d’affari parlavano male del delivery, intanto i cuochi continuavamo parlando e alzando la bandiera gastronomica con superbia

Il tema delivery si cucinava da tempo, però fu durante la pandemia, con la chiusura dei ristoranti e anche le restrizioni governamentali, che i proprietari sono rimasti con due opzioni: Chiudere o mandar giù l’orgoglio e mettersi a fare proprio quello che avevano criticato tanto. A maggio, il famoso chef Dabiz Muñoz lanciò la sua marca delivery e altri come Quique Dacosta lavoravano già nelle sue proposte gastronomiche. Per me lo shock fu quando Compartir & Disfrutar si sono alleati a Glovo. Il senso di sopravvivenza ha portato anche ai stellati a normalizzare il delivery. 

Domenico, chi è stato il mio capo il tempo che sono stata nel team servizio, durante lo stage che ho fatto al Dos Palillos. Mi ha spiegato come è stata l’esperienza nel ristorante stellato. “L’importante per noi, oggi e la sopravvivenza del ristorante. Il contabile ha raccomandato Albert (Raurich) chiudere, era piú facile dichiarare fallimento e non avere la responsabilità di pagare ai fornitori e agli impiegati. Però ha deciso che voleva lottare, prima di tutto salvare il ristorante e poi i lavori del team,

Penso che adesso i Chef dobbiamo lasciare da una parte il capello di cuoco professionale. Dobbiamo lavorare e fare quando sia necessario per arrivare alla fine mese. In questo momento al Dos Palillos stiamo facendo cibo da asporto, che non é per niente quello che mi piace, ma é una nuova esperienza”

Domenico Maglione nel Parco della Ciutadella ore prima di cominciare il servizio delivery. Novembre 2020

 

Aprendo nuove strade

Gli ERTES e i aiuti dello stato sono un sostegno però non sono sufficienti per coprire tutte le spese. Generalizzando, il massimo che uno può percepire è il 70% della busta paga. Il salario base di un cuoco medio, secondo il Convenio per il settore Ospitalità e Turismo della Catalogna è di 1.360,02 € lordi. Poi togliendo tasse, un cuoco senza figli guadagna piú o meno 1,147,8 € netti. In ERTE, un cuoco guadagna 952€ netti al mese in media, ma come dice Domenico “Aiuta ma non è abbastanza per coprire tutte le spese; solo d’affitto paghiamo 850€, poi io una macchina e tre cani.”

Per Pablo la situazione era un po’ piú complessa. La sua compagna, chi lavorava pure come cuoca, è in attesa di processo poiché fu licenziata senza nessun fondamento. Ed è ancora in aspettativa d’un ERTE che dopo diversi mesi non arriva. Insomma sono stati aiutati dalla famiglia nei momenti piú duri. Pablo ricorda “Quando eravamo nello Stato di allerta, mia moglie aveva le cose molto chiare. Mi ha proposto di unirci e cominciare a fare delivery, con un’offerta semplice, pensando al cibo che cuciniamo a casa per il giorno a giorno. E io a dire la verità non me la sentivo, erano dei mesi che criticavo il delivery e adesso Mi ci mettevo proprio a fare quello?, quindi all’inizio ho detto di no. Poco dopo sono riaperti i locali e mi hanno chiamato per lavorare in un bar di tapas a Badalona. Erano pochi soldi, ma meglio di niente.

Era il tipico locale di tapas fatti in un modo quasi-industriale, ne facevamo 120 tapas in poche ore, una cucina di due metri quadri e con prodotti di bassa qualità: fritto impanato su fritto e tutto cucinato in una friggitrice domestica. Mi hanno assunto dicendo che avevano bisogno d’uno executive chef, pagato 8 euro l’ora. Avevo la sensazione d’essere tornato indietro de la mia carriera lavorativa in Argentina. Quando sei giovane ti possono imbrogliare e farti credere che possano avere bisogno d’uno executive chef in un bar di tapas comune, ma alla mia età queste cose le vedi chiare. Non arrivavo a guadagnare né 50 euro al giorno ed ero distrutto. Cosí ho proposto a la propietaria di pagarmi un euro in piú l’ora, ma rifiutarono. Quella sera sono tornato a casa e ho detto a mia moglie che preferivo intraprendere nel mondo del delivery, invece di sentirmi sfruttato.”

Pablo mi rivela che è cosí che é nata la Clandestine Family Kitchen un progetto di famiglia in cui persino sua figlia partecipò creando il logotipo. L’idea base del progetto nasce di pensare “Se io cucino tre piatti per la famiglia, Cosa fa preparare altri cinque o dieci piatti?” e con quei soldi almeno si possono coprire i costi alimentari della famiglia. Questo progetto mi ispira soprattutto perchè questo è uno dei sacrifici piú grandi dei cuochi; il tempo dedicato alla famiglia.

La proposta è molto semplice, un solo piatto al giorno e solo per le persone del quartiere. Adesso hanno ordini regolari, il giorno che hanno pochi, sono due e i migliori tra otto e dieci. In piú é un progetto aperto ad altri cuochi, che possano lavorare in altri quartieri e allo stesso tempo appoggiarsi. In piú considerano che questo è il seme d’un ristorante proprio, un sogno che sperano abbia già dei clienti nella sua apertura, grazie a tutto il lavoro che realizzano adesso.

Da Instagram: @clandestine_family_kitchen

Ne sono sicura che da questa pandemia emergeranno progetti meravigliosi. È una tendenza in crescita il che diversi cuochi professionali intraprendono progetti personali, e sopratutto vincolato a le sue radici.

Dos Palillos, ad esempio fa delivery pochi giorni a settimana, Domenico sottolinea “Non avevo mai fatto cibo per mettere in un packaging, e a dire la verità è molto interessante perchè devi provare come reagisce la confezione un’ora dopo la spedizione. Bisogna pensare come impiattare in un modo diverso, tante cose che non avrei mai esplorato in un altro modo. Per esempio il mochi, abbiamo dovuto modificare un poco la ricette e aggiungiamo gelatina invece di panna montata che non regge. Tutto questo ci aiuta a ricercare, creare ed insomma, migliorare.

Una delle migliori idee che penso hanno fatto al Dos Palillos, è la decisione che per il delivery uno deve prenotare con 24 ore d’anticipo, questo permette evitare sprechi, e pertanto costi innecessari.

In piú Domenico ha avuto l’opportunità di lavorare per una settimana come cuoco di bordo su una barca a vela di 14 metri. “Ho cucinato tutta la settimana con fornelli di campeggio, e sono riuscito a preparare piatti elaborati e buoni, come il tiramisú al sifone che ha piaciuto tanto. Grazie a questo un po’ di settimane dopo ho avuto l’opportunità di realizzare un evento privato. In piú mi sono ispirato a creare un progetto personale e portare il Gnocco Fritto romagnolo a Barcellona. Ho tantissima voglia di tornare ai fornelli, adoro l’adrenalina del servizio, ma sono contento di avere l’opportunità di esplorare diverse strade che non avrei mai pensato.”

Un futuro certamente incerto

Attualmente le aziende delivery dominano il mercato, e una volta la pandemia sia passata rimarranno con un buon pezzo. Si sono anticipati e hanno saputo approfittare una tendenza in un mercato ancora inesplorato. Pablo afferma “Glovo e co. hanno fatto un lavoro raffinato di datare il cliente e digitalizzarlo. Oggi per oggi sono loro che controllano il mercato, per ogni ordine, loro prendono il 35% dei benefici. In piú adesso affittano le cucine, chiamate Dark Kitchen. È una mentalità molto neoliberale e astuta.”

Penso che c’è una sfida importante, però ho fiducia e fantasia con il futuro della gastronomia. Un tipo di gastronomía piu vicina al territorio e molto personale. Dovremmo trovare nuove formule che ci permettano prescindere delle aziende di delivery, o quantomeno potere negoziare migliori condizioni.

Adesso è il momento per i cuochi e professionisti della ristorazione approfittare questa crisi; esplorare, istruirsi e sviluppare nuovi concetti ed opportunità che facciano riaffiorare una gastronomia di qualità.